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GLI INFERMIERI ED IL BURNOUT





Il burnout  è una sindrome che interessa tutte quelle figure professionali che hanno a che fare con persone che hanno bisogno d’aiuto (helping professions). In particolare colpisce medici, infermieri e le altre figure sanitarie, compresi volontari e studenti, gli addetti ai servizi di emergenza, tra cui poliziotti e vigili del fuoco, psicologi, psichiatri e assistenti sociali, sacerdoti e religiosi (in particolare se in missione), insegnanti ed educatori, tecnici della riabilitazione psichiatrica, avvocati, ricercatori e operatori callcenter.

Se non opportunamente trattati, questi soggetti cominciano a sviluppare un lento processo di "logoramento" o "decadenza" psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato (il termine burnout in inglese significa proprio "bruciarsi"). In tali condizioni può anche succedere che queste persone si facciano un carico eccessivo delle problematiche delle persone a cui badano, non riuscendo così più a discernere tra la propria vita e la loro.

Negli operatori sanitari, la sindrome si manifesta generalmente seguendo quattro fasi:

-         La prima, preparatoria, è quella dell'"entusiasmo idealistico" che spinge il soggetto a scegliere un lavoro di tipo assistenziale.

-         Nella seconda ("stagnazione") il soggetto, sottoposto a carichi di lavoro e di stress eccessivi, inizia a rendersi conto di come le sue aspettative non coincidano con la realtà lavorativa. L'entusiasmo, l'interesse ed il senso di gratificazione legati alla professione iniziano a diminuire.

-         Nella terza fase ("frustrazione") il soggetto affetto da burnout avverte sentimenti di inutilità, di inadeguatezza, di insoddisfazione, uniti alla percezione di essere sfruttato, oberato di lavoro e poco apprezzato; spesso tende a mettere in atto comportamenti di fuga dall'ambiente lavorativo, ed eventualmente atteggiamenti aggressivi verso gli altri o verso se stesso.

-         Nel corso della quarta fase ("apatia") l'interesse e la passione per il proprio lavoro si spengono completamente e all'empatia subentra l'indifferenza, fino ad una vera e propria "morte professionale".

Le cause del burnout:

-         sovraccarico di lavoro: il disadattamento è presente quando la persona percepisce un carico di lavoro eccessivo (le richieste lavorative sono così elevate da esaurire le energie individuali al punto da non rendere possibile il recupero), quando, anche in presenza di un carico ragionevole, il tipo di lavoro non è adatto alla persona (si percepisce di non avere le abilità per svolgere una determinata attività) e quando il carico emotivo del lavoro è troppo elevato (il lavoro scatena una serie di emozioni che sono in contraddizione con i sentimenti della persona).

-         senso di impotenza: il soggetto non ritiene che ciò che fa o vuole fare riesca ad influire sull'esito di un determinato evento.

-         mancanza di controllo: il disadattamento si verifica quando l'individuo percepisce di avere insufficiente controllo sulle risorse necessarie per svolgere il proprio lavoro oppure quando non ha sufficiente autorità per attuare l'attività nella maniera che ritiene più efficace.

-         riconoscimento: si ha disadattamento quando si percepisce di ricevere un riconoscimento inadeguato per il lavoro svolto.

-         senso di comunità: è presente disadattamento quando crolla il senso di appartenenza comunitario all'ambiente di lavoro, ovvero quando si percepisce che manca il sostegno, la fiducia reciproca ed il rispetto e le relazioni vengono vissute in modo distaccato ed impersonale.

-         assenza di equità: si ha disadattamento quando non viene percepita l'equità nell'ambiente di lavoro in ambiti quali, ad esempio, l'assegnazione dei carichi di lavoro e della retribuzione o l'attribuzione di promozioni e avanzamenti di carriera.

-         valori contrastanti: il disadattamento nasce quando si vive un conflitto di valori all'interno del contesto di lavoro e cioè quando la persona non condivide i valori che l'organizzazione trasmette oppure quando i valori non trovano corrispondenza, a livello organizzativo, nelle scelte operate e nella condotta.

-         facile identificazione del personale con la malattia.

Le conseguenze del burnout:


A livello individuale

-         Atteggiamenti negativi verso i clienti/utenti

-         Atteggiamenti negativi verso se stessi

-         Atteggiamenti negativi verso il lavoro

-         Atteggiamenti negativi verso la vita

-         Calo della soddisfazione lavorativa

-         Calo dell'impegno verso l'organizzazione

-         Riduzione della qualità della vita personale

-         Peggioramento dello stato di salute

A livello organizzativo

-         Aumento dell'assenteismo

-         Aumento del turnover

-         Calo della performance

-         Calo della qualità del servizio

-         Calo della soddisfazione lavorativa


Oggi I pazienti sono molto più critici oggi  che in passato e necessitano di un’assistenza più specializzata e competente. L’invecchiamento della popolazione e le varie riorganizzazioni del sistema sanitario hanno reso i carichi di lavoro sempre più pesanti e le precarie e stressanti condizioni di lavoro incidono sulla capacità degli infermieri di erogare un’assistenza di qualità.

Il turn over del personale non è più garantito, come in alcuni casi anche le sostituzioni del personale in maternità

Nessuna norma riconosce la nostra professione come lavoro usurante. Eppure garantiamo l’assistenza nelle 24 ore con turni massacranti e in situazione di disagio estremo. Molti di noi abbandonano la professione perché gravati da difficoltà fisiche, eppure nessuna norma prevede alcuna malattia professionale. Coinvolgimento emotivo e depressione per la vicinanza a situazioni umane estreme, patologie a carico del rachide per la movimentazione dei carichi, disturbi del sonno-veglia per il lavoro notturno, i rischi chimici e biologici non sono riconosciuti.

Oggi l’infermiere in molti casi si trova nella situazione di erogare salute ai cittadini a scapito della propria salute.

I disturbi di tipo psicologico e fisiologico che sono correlati a livelli elevati di stress sono oggi uno dei principali problemi sociali e sanitari; gli esperti in materia ritengono che il 50-80% di tutte le malattie manifestate dai lavoratori, sia strettamente collegato allo stress.

Uno studio recente ha analizzato le principali fonti di stress occupazionale tra il personale infermieristico, rilevando che tale problema è “particolarmente evidente, in parte per le caratteristiche insite nelle professioni di aiuto, a contatto con la sofferenza e la malattia, in parte a causa di ritmi e organizzazione del lavoro. Sono descritti specifici fattori fonte di stress per il personale infermieristico quali la mancanza di chiarezza rispetto al ruolo, la difficoltà nella programmazione dei turni e del gruppo di lavoro, lo scarso coinvolgimento nei processi decisionali, basso status sociale e scarso supporto”.  Sempre secondo tale studio, la visione che gli infermieri hanno del proprio lavoro è caratterizzata da attività in certi momenti frenetiche, impegno molto intenso, elevato livello di competenza e flessibilità verso nuovi apprendimenti.

Nell’Unione europea i problemi di stress legati al lavoro sono il 28% delle patologie con il 50-60% di perdita di giornate lavorative e un costo finanziario di 20 miliardi di euro.

Altre cause di questa sindrome che porta a sintomi come depressione, senso di colpa, sfiducia, disturbi fisici come cefalee, problemi intestinali, affaticamento cronico, insonnia, abuso di caffeina, nicotina, alcool e droghe, con sintomi fisici, psichici e comportamentali, sono da ricercarsi nell’elevato costo emotivo a trattare situazioni gravi e penose, al confronto con pazienti e familiari per problemi di dipendenza, impotenza, angoscia, dolore, aggressività, morte. E’ riconosciuto che questi disturbi incidono notevolmente sul turnover e sul grado di assenteismo degli infermieri e spesso esitano in malattie psicosomatiche e, a livello relazionale, verso il deterioramento dei rapporti con l’utenza e con i propri colleghi. A fronte delle principali cause organizzative del fenomeno si devono inoltre associare situazioni particolari dovute all’esercizio della professione in ambiti specifici quali le terapie intensive, i reparti oncologici, nelle unità operative di malattie infettive/AIDS.

Accanto alla cornice relazionale si tenga infine conto che lo sviluppo medico-scientifico pone l’esercizio della professione di infermiere in un contesto in cui sono richieste sempre maggiori conoscenze sia specifiche che tecniche (utilizzo sempre più frequente di nuovi protocolli e strumenti professionali, macchinari, computer e software innovativi) che richiedono continuo aggiornamento e una flessibilità cognitiva che difficilmente nel tempo può dare garanzia di sicurezza al professionista e a chi riceve assistenza.

Il problema risulta aggravato nel caso si parli di infermieri turnisti. Il disagio per la vita sociale e familiare, i disturbi del sonno-veglia, i disturbi metabolici sono sempre più frequenti. I segni di intolleranza alla turnistica sono maggiori dopo i 40 anni e vi è pure qualche indizio che la turnistica abbia controindicazioni più serie per le donne: gli autori (Barnes, 1996; Novak et al. 1990; Hertz & Charton, 1989; Oginska et al. 1993) in particolar modo pongono l’accento sul “doppio lavoro” domestico che occupa di fatto gran parte del tempo libero dal lavoro principale.

Uno studio americano condotto tra il 1988 e il 1998 su oltre 78.000 infermiere ha mostrato che le infermiere che hanno lavorato turni di notte a rotazione per oltre 30 anni hanno un 36% in più di possibilità di sviluppare un cancro al seno.

Da tali premesse, ipotizzare di raggiungere l’età pensionabile senza danni fisici risulta oggi impensabile per la maggior parte degli infermieri.


QUANDO RIUSCIREMO A FAR RICONOSCERE LA NOSTRA PROFESSIONE COME USURANTE???

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