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RESPONSABILITA’ DELL’INFERMIERE NELLA DEFIBRILLAZIONE CARDIACA PRECOCE



La defibrillazione è una pratica terapeutica che utilizza una scarica controllata di corrente elettrica allo scopo di correggere anomalie del ritmo cardiaco che ingenerino una funzionalità emodinamica non soddisfacente ai fini dell’ossigenazione tissutale del paziente. Le indicazioni assolute alla defibrillazione in emergenza urgenza, secondo i protocolli internazionali in materia di defibrillazione con apparecchiature semiautomatiche sono la Tachicardia Ventricolare senza polso e la Fibrillazione Ventricolare. Questi peraltro costituiscono il ritmo di presentazione dell’80% circa dei casi di morte improvvisa. Durante la scarica elettrica il sistema di conduzione del cuore viene depolarizzato in toto, così da riprodurre all'ECG una fase di plateau refrattaria. La ripolarizzazione avverrà quindi a livello del pacemaker fisiologico, il nodo senoatriale, che nella migliore delle ipotesi restaurerà il ritmo naturale. 


Gli attuali defibrillatori semiautomatici consentono di erogare una scarica dietro “consenso” dell’operatore previa analisi del ritmo cardiaco da parte dell’apparecchiatura stessa. Tale analisi avviene in maniera automatica ed è filtrata dalla macchina al fine di evitare errori da artefatto, i tempi di scarica sono estremamente ridotti e suscettibili di essere interrotti allorquando il processore ne rilevi l’intervenuta efficacia. 
Le probabilità di successo di una defibrillazione sono comunque strettamente legate al tempo di intervento sulla scena, poiché si ha la necessità di intervenire su un muscolo cardiaco che ancora possieda le caratteristiche chimico-fisiche che lo rendono idoneo alla contrazione muscolare. Da quanto appena esposto, desumiamo che le aritmie cardiache ipercinetiche a possibile esito mortale rappresentano le condizioni patologiche alle quali si può efficacemente rispondere con una defibrillazione precoce che, a differenza delle altre manovre di soccorso e di rianimazione, si caratterizza per essere mediata da un’apparecchiatura elettromedicale. 
Questo aspetto in particolare ha indotto, nel corso del tempo, a enfatizzare la tecnica dell’apparecchiatura a discapito del sapere e delle competenze degli operatori del soccorso. Fermo restando quindi lo stretto legame che intercorre tra un precoce utilizzo del defibrillatore semiautomatico e un’alta percentuale di sopravvivenza nelle cosiddette “morti improvvise”, non vanno tralasciati alcuni importantissimi fattori: - L’uso dell’apparecchiatura non esime assolutamente l’operatore da resoponsabilità; - Una distribuzione non mediata delle macchine incide sul sistema di emergenza sanitaria e ne pone a rischio i principi regolatori. La presenza di un defibrillatore semiautomatico infatti non è neutra, ma viene a creare un contesto potenzialmente generatore di posizioni di garanzia e responsabilità oggettive. 
L’operatore non potrà infatti devolvere al defibrillatore la valutazione del suo operato in quei casi in cui, nonostante l’uso del defibrillatore (o proprio a causa di esso) un soggetto abbia subito dei danni. Va precisato inoltre che queste potenziali responsabilità non coinvolgono solo l’operatore materialmente presente nel contesto fisico dell’evento e che si fa carico dell’utilizzo del defibrillatore, ma anche il produttore dello stesso e chi ne ha consentito l’utilizzo. Responsabilità penale legata all’uso del DAE. 

Sotto il profilo penale si è discusso ampiamente del tema dell’esercizio abusivo della professione sanitaria, di cui all’articolo 348 del Codice Penale, correlato nella fattispecie all’utilizzo da parte di non medici di un’apparecchiatura elettromedicale. Per quel che attiene agli infermieri, si poteva ritenere la questione superata sulla base di un’interpretazione evolutiva delle norme in merito, giacché appare evidente la riconducibilità ad una legittimazione dell’utilizzo del defibrillatore, nell’ambito di protocolli di rianimazione avanzata (quali potrebbero essere, per citarne due largamente accreditati, l’ALS o l’ACLS), da un’attenta lettura dell’articolo 10 del Decreto del Presidente della Repubblica del 27 marzo 1992, secondo il quale l’infermiere, nello svolgimento del servizio di emergenza, è autorizzato a mettere in atto “manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali, previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio”. Questo passaggio appare decisamente esplicativo e chiarificatore per quanto concerne la possibilità per l’infermiere di praticare non solo la defibrillazione, ma anche tutte quelle manovre, anche invasive, che consentono la stabilizzazione del paziente (o ne impediscono addirittura la morte) e il suo trasporto verso una struttura sanitaria adeguata al singolo caso clinico.

La legge n. 120 del 3 aprile 2001, che disciplina l’uso dei defibrillatori semiautomatici in ambiente extraospedaliero (anche ad opera di laici), in verità si limita a rendere tale pratica non sanzionabile dal punto di vista penale come abusivo esercizio di professione, ponendo come condizione imprescindibile che il personale che utilizza l’apparecchiatura “abbia ricevuto una formazione specifica nelle attività di rianimazione cardiopolmonare”, venendo così a sottolineare una preparazione tecnico-clinica che da dunque per scontata. A fronte di quanto appena sottolineato, rimane peraltro il fatto che chiunque sia addestrato all’uso del DAE diviene, qualora si prospettino le condizioni che fanno da indicazione clinica al suo utilizzo, garante della vita e dell’integrità fisica del soggetto che lo necessiti e potrà pertanto rispondere penalmente di eventuali decessi o lesioni personali qualora non intervenisse tempestivamente nelle manovre rianimatorie e di defibrillazione, allorquando non dovesse utilizzare il DAE in maniera impeccabile o ancora quando, scegliendo di intervenire con l’uso dell’apparecchio, omettesse di attuare altre manovre rianimatorie più appropriate nel caso specifico o non informasse il sistema di emergenza 118. Dalle condizioni di utilizzo e di distribuzione dei DAE, alcune correnti di giuristi desumono inoltre (in fondo non a torto) l’inappellabilità allo “Stato di Necessità” di cui all’articolo 54 C.P., poiché esso consta della sopravvenienza del tutto imprevedibile di una condizione che, per la sua gravità, rende lecite azioni altrimenti illecite al fine di salvaguardare beni primari (quale è la vita) messi in pericolo da tali pericolose contingenze. Il fatto stesso, appunto, di collocare un DAE in un contesto o scenario, vuole significare che in tale scenario è prevedibile (e questo annulla di fatto la condizione di sussistenza giuridica dello “Stato di Necessità” di cui sopra) il verificarsi di un arresto cardiocircolatorio. Per tale motivo non ha rilevanza lo “Stato di Necessità”, ma addirittura in un simile contesto di prevedibilità dell’evento dannoso, chi abbia a disposizione un DAE e lo sappia usare, assume una posizione di garanzia nei confronti di chi tale evento lo possa subire. Questo implica peraltro che il soggetto che utilizza la macchina in un caso di arresto cardiaco potrà rispondere, ai sensi dell’articolo 582 del C.P., di eventuali lesioni o decessi legati ad un improprio o scorretto utilizzo del DAE e delle manovre rianimatorie ad esso collegate. 
Come è noto, inoltre, i DAE hanno la probabilità (peraltro davvero remota) di incorrere in un falso positivo o un falso negativo, in altri termini potrebbero verificarsi dei casi di mancato consenso alla defibrillazione di ritmi invece defibrillabili o ancora il consenso alla defibrillazione di ritmi assolutamente non defibrillabili. Nel caso in cui ad esempio la macchina non desse il consenso a “scaricare” un ritmo in cui invece la terapia elettrica sia indicata, l’unica possibilità di defibrillazione (stiamo parlando di un infermiere, non certo di un laico!) verrebbe dall’utilizzo di un’apparecchiatura combinata (che contempli cioè la possibilità di un utilizzo manuale così come semiautomatico); in questa circostanza, l’operatore che conosca approfonditamente i protocolli di defibrillazione e sia in grado di leggere e interpretare un tracciato di bassa complessità alla ricerca di una Tachicardia Ventricolare senza polso o di una Fibrillazione Ventricolare, potrà decidere (supportato dai segni clinici e dalla traccia ECG), di passare in modalità manuale ed erogare ugualmente la scarica elettrica, nonostante il falso negativo della macchina. Certamente questa eventualità è remota e comporta per l’operatore un’elevata responsabilità, poiché lo rende in grado di porre rimedio ad un potenziale errore della macchina, ma ne richiede un’imprescindibile preparazione di elevato livello qualitativo. Dunque, come abbiamo visto, l’utilizzo di un’apparecchiatura elettromedicale per la defibrillazione precoce ingenera una serie di responsabilità e di dinamiche non solo cliniche, ma anche medico-legali, per far fronte alle quali è necessaria la padronanza della materia che solo una corretta preparazione, formazione e aggiornamento possono garantire all’operatore e che sono imposte come un dovere (riconosciuto tale anche dalle leggi che abbiamo rapidamente scorso) dalla stessa posizione di garanzia che il sanitario ricopre nei confronti della collettività.




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