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MANCATA PRESA IN CARICO DI UN PAZIENTE




Un infermiere è stato sospeso dal lavoro e dalla retribuzione per tre giorni al termine dei quali è stato trasferito di reparto (da un reparto di rianimazione ad uno di degenza).
Gli era stato contestato il comportamento teso alla mancata presa in carico di un paziente in terapia intensiva.
Giustificazione  per un simile comportamento era stato l’eccessivo carico di lavoro e l’ insufficienza di personale. Il giorno precedente il fatto viene suggerito al coordinatore di predisporre un’unità infermieristica aggiuntiva. L’indomani il professionista in questione inizia il turno senza che il coordinatore alle sette del mattino sia presente. Nella suddivisione del lavoro – autogestita tra gli infermieri presenti – non risultava “preso in carico” il paziente nuovo. Non risulta in realtà un atto formale di rifiuto ma una situazione di fatto nella quale, adducendo scuse di priorità rispetto a degenti più gravi, il paziente comunque non aveva ricevuto attenzioni assistenziali tali da potere essere configurata la presa in carico.
All’arrivo del coordinatore – 8,15 del mattino – al paziente non erano stati eseguiti i prelievi ematici come da routine.
Aggrava il comportamento la circostanza che il fatto sia accaduto in una terapia intensiva e che l’infermiere in questione fosse del tutto consapevole del deficit di assistenza. Inoltre si registra una “certa insofferenza verso il coordinatore e un approccio critico e polemico alla modalità di gestione del servizio infermieristico del reparto di terapia intensiva da parte del coordinatore infermieristico”.
La sentenza in questione, che troverete integralmente in calce, risulta interessante sotto molti punti di vista. In primis, non sembra che ci siano precedenti che abbiano mai disquisito sulla “presa in carico” di un paziente. Il giudice milanese purtroppo non definisce il concetto di presa in carico né lo correla – un giudice penale verosimilmente lo avrebbe fatto – all’obbligo penalistico della posizione di garanzia e di protezione. Si limita ad osservare che non vi è stata la presa in carico.

Ma basta la mancata effettuazione di un prelievo ematico a delineare la fattispecie  “mancata  presa in carico di un paziente”?  (sempre che in giurisprudenza esista una fattispecie simile!!!)

Il trasferimento di reparto sembra più una disposizione dovuta per migliorare la convivenza all’interno del personale dell’U.O. che non un monito per l’infermiere in questione. Non è nemmeno rilevabile il carattere discriminatorio nei suoi confronti.

Riportiamo la sentenza.

Tribunale di Milano sezione Lavoro, sentenza 26 giugno 2013
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con ricorso ex art. 414 c.p.c., depositato nella cancelleria dell’intestato Tribunale in data 7.11.2012. il ricorrente indicato in epigrafe ha convenuto in giudizio la FONDAZIONE
IRCCS - X. X. X. X. (nel prosieguo, per brevità. Fondazione), esponendo, per quanto di interesse ai fini della presente decisione:
- di essere dipendente della Fondazione in qualità di collaboratore professionale sanitario infermiere, con inquadramento nel livello D del vigente C.C.N.L. sanità pubblica, assegnato
al reparto di terapia intensiva;
- di aver ricevuto un atto, datato 16.4.2012, di contestazione di addebito disciplinare, relativo ad un episodio del 16.3.2012 e, in particolare, al rifiuto di prendere in carico ed assistere un paziente ricoverato presso il reparto di terapia intensiva della Fondazione e ciò anche dopo la disposizione di servizio rivoltagli dal coordinatore del reparto (cfr. doc. n. I del fascicolo attoreo);
- di essere stato convocato per chiarimenti, con incontro avvenuto in data 11.6.2012 (cfr. doc. n. 2 del fascicolo cit.);
- di essersi visto applicare, con atto del 29.6.2012, la sanzione disciplinare della sospensione per tre giorni dal servizio con privazione della retribuzione (cfr. doc. n. 3 cit.);
- di essere stato, poi con lettera del 21.9.2012. unitamente ai colleghi di reparto CA. e D.NI., anch’essi coinvolti nei fatti  del 16.3.2012 e parimenti sanzionati, assegnato i settore S.C.
Medicina oncologica a decorrere dall’1.10.2012 e ciò per “ragioni di carattere organizzativo” (cfr. doc. n. 4 del fascicolo cit.);
- di non essersi rifiutato di assistere il paziente di cui all’atto di contestazione di addebito disciplinare, dal momento che all’atto della richiesta del coordinatore sig. SA. unitamente ai
colleghi CA. e D.NI., si stava occupando di altro paziente in situazione assai critica, lavorando per priorità in ragione del carico assistenziale;
- di essere stato illegittimamente trasferito dal reparto di terapia intensiva a quello di medicina oncologica, provvedimento di trasferimento discriminatorio c. comunque, illegittimo in quanto avente natura sanzionatoria.
Tanto osservato, la difesa attorea ha rassegnato le seguenti
conclusioni:
1) accertare e dichiarare la nullità e/o illegittimità del provvedimento disciplinare di tre giorni di sospensione irrogato al ricorrente dalla resistente in data 29.6.2012:
2) accertare e dichiarare l’obbligo della resistente a corrispondere al ricorrente le somme indebitamente trattenute e conseguentemente condannarla alla restituzione delle somme
eventualmente indebitamente trattenute;
3) dichiarare nullo e/o illegittimo e/o annullare il provvedimento di trasferimento al Reparto Medicina Oncologica 2 comunicato al ricorrente in data 21.9.2012 e conseguentemente
condannare la convenuta a riadibire il ricorrente al reparto di precedente assegnazione.
Ritualmente costituitasi in giudizio, la Fondazione resistente ha contestato in fatto ed in diritto le domande di controparte, di cui ha chiesto il rigetto, con vittoria di spese di lite.
Esperito infruttuosamente il tentativo di conciliazione:
depositati dalle difese delle parti i verbali delle prove testimoniati assunte nell’ambito della causa n. 13547/2012 R.G., relativa ad impugnazione delle sanzioni disciplinari applicate
a due colleghi del ricorrente nell’ambito della stessa vicenda che è sfociata nella sanzione conservativa la cui legittimità è oggetto del presente giudizio, verbali di prove che - assunte
nel contraddittorio delle medesime difese - i procuratori hanno dato atto di poter essere utilizzati anche ai fini della decisione della presente causa: ritenuta quindi la causa matura
per la decisione senza necessità di escutere ulteriori testimoni (cfr. ordinanza riservata del 30.4-2.5.2013); all’udienza del 25.6.2013, il giudice ha invitato le difese alla discussione
orale, all’esito della quale - su conclusioni rassegnate come in atti - ha deciso la causa, dando lettura del dispositivo - conforme a quello trascritto in calce alla presente decisione - con fissazione - ex art. 429. comma 1, 2 periodo, c.p.c. – del termine di nove giorni per il deposito della sentenza.
Per le ragioni che vanno ad esporsi le domande proposte con l’atto introduttivo del giudizio sono infondate c. pertanto, devono essere rigettale.
Quanto alla sanzione disciplinare di tre giorni di sospensione si osserva quanto segue.
Con l’atto di contestazione di addebito del 16.4.2012, in sostanza, è stato imputato al ricorrente di essersi rifiutato – in data 14.3.2012, durante il primo turno - di prendere in carico
ed assistere uno dei pazienti ricoverati nel reparto di terapia intensiva della Fondazione, avendo informato inizialmente di ciò una collega dei Dipartimento di Anestesia e Rianimazione.
Terapia del Dolore e Cure Palliative (la sig.ra AL.) ed avendo mantenuto tale comportamento omissivo anche dopo l’intervento del sig. SA. coordinatore del reparto di terapia
intensiva (cfr. doc. n. 1 cit.).
Dalle giustificazioni rese dal ricorrente in data 11.6.2012 nell’ambito del procedimento disciplinare - cfr. verbale prodotto sub doc. n. 2 cit. - è possibile ricavare i seguenti dati di
interesse ai fini della presente decisione:
- il ricorrente, in data 13.3.2012, aveva fatto presente al coordinatore sig. SA. di valutare la possibilità di acquisire per il giorno successivo (vale a dire, quello in cui è si è verificato il
fatto oggetto di contestazione) una unità aggiuntiva di personale infermieristico c ciò a fronte delle esigenze assistenziali rilevate;
- il Sig. SA. ha riferito al ricorrente che avrebbe preso in esame il suggerimento;
- in data 14.3.2012 il ricorrente, alle ore 7.00, ha iniziato il turno di lavoro, senza che il sig. SA. fosse presente in reparto, cosicché il ricorrente medesimo ed i colleghi in turno si sono
divisi autonomamente i pazienti;
- né il ricorrente né alcuno dei due colleghi di turno hanno preso in carico il paziente del letto n. 4 che era il meno critico tra i degenti del reparto e con riferimento al quale si era in
attesa della quarta persona che il ricorrente, nel pomeriggio del giorno prima, aveva suggerito al sig. SA. di procurare;
- mentre i tre infermieri in turno - quindi anche il ricorrente - erano impegnati sul paziente ritenuto più grave, giunto in reparto il sig. SA. questi ha chiesto ai tre infermieri in servizio
di decidere chi dovesse prendere in carico il paziente del letto n. 4:
- gli infermieri - quindi anche il ricorrente - non si sono rifiutati di prendere in carico il paziente del letto n. 4, avendo risposto semplicemente che in quel momento non erano in
grado di assistere detto degente, perché impegnati su di una paziente più grave;
- ancora all’arrivo del sig. SA. in reparto, al paziente del Ietto n. 4 non erano stati rilevati i parametri vitali:
- nessuno degli infermieri in turno ha preso in carico il degente del letto n. 4 e ciò in quanto il coordinatore sig. SA. aveva fatto presente che avrebbe procurato una quarta risorsa,
cosicché, in assenza di tale unità di personale aggiuntiva rispetto all’organico ordinariamente in turno, gli infermieri in servizio - quindi anche il ricorrente - hanno pensalo se ne sarebbe occupato il sig. SA. in prima persona.
Dai verbali di prove testimoniali acquisiti agii atti di causa, in primis, si trac conferma che il sig. SA. non era presente in reparto nel momento dell’inizio del turno del ricorrente e
degli altri due infermieri in servizio (sig.ra CA. e sig. D.NI.), essendo sopraggiunto intorno alle ore 8.30 circa, dopo essere stato reso edotto dalla sig.ra AL. (altra risorsa presente il
14.3.2012 nel reparto di terapia intensiva ed addetta al posizionamento dei cateteri) che il paziente del letto n. 4 non era stato preso in carico da nessuno.
Il sig. SA. (soggetto comune alle liste testimoniali di cui agli scritti delle difese), poi. ha confermato che i tre infermieri in servizio (vale a dire, il ricorrente, la sig.ra CA. ed
il sig. D.NI.) - a fronte della domande relativa al fatto che nessuno di loro aveva preso in carico il degente del letto n. 4 - hanno fatto presente di essere oberati di lavoro, cosicché
detto paziente avrebbe dovuto essere preso in carico dal sig. SA. stesso; quindi, avendo quest’ultimo fatto presente che tale soluzione non era percorribile, invitando gli infermieri in
servizio a rivedere la loro posizione ed essendo il ricorrente ed i colleghi rimasti fermi nell’intento, la sig.ra AL. ha iniziato ad occuparsi del paziente non assistito, con l’intervento
del sig. SA..
La ricostruzione del sig. SA. trova significativi dati di riscontro in quella della sig.ra AL. (soggetto comune alle liste testimoniali articolate con il ricorso ex art. 414 c.p.c. e con
la memoria art. 416 c.p.c. e dotato di elevato grado di attendibilità, in quanto in posizione di effettiva terzietà rispetto agli accadimenti del 14.3.2012. non rivestendo la posizione
di responsabilità del sig. SA. e non essendo stata destinataria di sanzione disciplinare al pari del ricorrente come invece la sig.ra CA. ed il sig. D.NI.), avendo la sig.ra AL. fatto presente
che al suo arrivo in reparto, non erano stati eseguiti i prelievi al paziente del letto n. 4; avendo confermato che gli infermieri in servizio le hanno fatto presente che tale paziente sarebbe
stato preso in carico dal sig. SA.; avendo rappresentato anche che si trattava di attività che questi non svolgeva (“era la prima volta che mi veniva fatto questo tipo di riferimento all’attività del Sa.); la teste AL. ha pure riferito che il sig. SA. È arrivato in reparto dopo che lei stessa aveva riportato a questi quanto dettole dagli infermieri in servizio circa l’assistenza al
degente del letto n. 4.
Anche dalla dichiarazioni dei testi CA. e D.NI. emerge in modo univoco che nessuno degli infermieri aveva preso in carico il paziente del letto n. 4 sin dall’inizio del turno, avendo
il teste D.NI. pure dichiarato che. dopo il colloquio con il sig. SA. “in realtà, poi, nessuno ha preso in carico il 4) perché la cosa era scoppiata in polemica ed ognuno è rimasto sulle
sue posizione.
Ora. ad avviso del giudicante, dal quadro sopra delineato emerge la sostanziale conferma dell’addebito contesto: infatti, è un dato obiettivo che, entrato in servizio il ricorrente
alle ore 7.00 (unitamente ai colleghi di turno sig.ra CA. e sig. D.NI.), ancora almeno alle 8.15-8.20, nessuno aveva preso in carico il paziente del letto n. 4. tanto è vero che all’arrivo della
sig.ra AL. ancora non erano stati fatti Ì prelievi; dalla deposizione della teste AL. emerge poi che gli infermieri hanno riferito che di detto paziente si sarebbe dovuto occupare il sig.
SA. (a cui, tuttavia, nulla era stato comunicato al riguardo, tanto è vero il sig. SA. ha appreso della situazione dalla sig. ra AL. e su iniziativa spontanea di quest’ultima); anche dopo
il colloquio tra i tre infermieri in turno ed il coordinatore SA., nessuno dei tre infermieri in servizio ha preso in carico il paziente del letto n. 4, essendo infine intervenuta su tale paziente
dapprima la sig.ra AL. e poi anche il sig. SA..
D’altro canto, neppure si può ritenere che la condotta del ricorrente possa essere giustificata muovendo dalla circostanza che nel reparto di terapia intensiva si trovava un altro paziente
(quello che occupava il lett. n. 7) con un carico assistenziale assai elevato: infatti, se è vero che ciò emerge dalle deposizioni testimoniali acquisite agli atti del presente procedimento,
è altrettanto vero che dalle deposizioni risulta altresì che il coinvolgimento collettivo degli infermieri nella gestione di tale paziente ad elevato carico assistenziale era necessario per
l’espletamento della operazione diretta a spronare il degente, mentre tutte le attività preparatorie a detta operazione potevano essere effettuate anche da un solo infermiere o al massimo da due, cosicché non emerge certo un contesto operativo in forza del quale sia dato riscontrare una sorta di stato di necessità o causa di forza maggiore in grado di giustificare il fatto che dalle ore 7.00 alle ore 8.15-8.20 circa il degente del letto n. 4 non sia stato preso in carico da nessun infermiere.
Tanto esposto quanto alla sussistenza dell’addebito, anche in considerazione della delicatezza del reparto di terapia intensiva e del fatto che almeno il ricorrente sembra fosse perfettamente consapevole del deficit di assistenza con riferimento al paziente del letto n. 4 (risultando, anzi, sia dalle dichiarazioni rese dal ricorrente medesimo in sede di udienza cosiddetta disciplinare, sia da quanto riferito dal teste sig. D.NI., che alla base del comportamento tenuto vi potrebbe
essere anche una certa insofferenza verso il coordinatore SA. ed un approccio critico e polemico alla modalità di gestione del servizio infermieristico del reparto di terapia intensiva da
parte del coordinatore stesso, dato che sembrerebbe emergere anche dalla dichiarazione resa dalla teste sig.ra Ma.Cr.CE., acquisita in sede udienza di discussione), la sanzione adottata
dalla Fondazione risulta adeguata e proporzionata alla mancanza addebitata.
In conclusione, il provvedimento disciplinare di tre giorni di sospensione dal servizio e dalla retribuzione è legittimino, con conseguente reiezione delle domande articolate sub nn.
1 e 2 delle conclusioni rassegnate con il ricorso ex art. 414 c.p.c..
Con riferimento al trasferimento del ricorrente dal reparto di terapia intensiva a quello di medicina oncologia si osserva quanto segue.
Anche in parte qua, quindi, il ricorso deve essere respinto.
Al riguardo, in primis. si deve osservare che - ex art. 52, comma 1, D. Lgs. n. 165/2001 - il dipendente deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni
equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento, cosicché, versandosi nel caso di specie in caso di esercizio del cosiddetto ius variandi in punto di mansioni e non essendo in
contestazione il fatto che presso il reparto di medicina oncologica il ricorrente sia chiamato ad espletare attività lavorativa propria dell’inquadramento contrattuale attribuitogli, ad
avviso del giudicante non risulta neppure configurabile una situazione soggettiva di cui la parte attrice possa lamentare la lesione e ciò, contrariamente a quanto argomentato dalla
difesa attorea in sede di discussione orale, anche con riferimento alla cosiddetta professionalità in concreto, avendo la Corte di legittimità, sotto tale specifico profilo, evidenziato
che “in tema di pubblico impiego privatizzato, l’art. 52 comma 1, del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che sancisce il diritto alla adibizione alle mansioni per le quali il dipendente è stato
assunto o ad altre equivalenti, ha recepito - attese le perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore di lavoro, tuttora condizionato, nell’organizzazione del lavoro, da
vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria delle risorse - un concetto di equivalenza “formale”, ancorato alle previsioni della contrattazione
collettiva (indipendentemente dalla professionalità acquisita) e non sindacabile dal giudice, con la conseguenza che condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano
essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita (Cass. Sez. L. , Sentenza n.
11405 dell’11.5.2010; che, nello stesso senso. Cass. Sez. L. , Sentenza n. 11835 del 21.5.2009).
Fermo quanto sopra osservato, di per sé dirimente ai fini del rigetto della domanda diretta a condannare la Fondazione convenuta a riassegnare il ricorrente al reparto di terapia
intensiva, si deve anche osservare come, nella decisione organizzativa della resistente, non emerga il carattere discriminatorio lamentato nell’atto introduttivo del giudizio e ciò sia
perché, oltre al ricorrente, risultano essere stati assegnati ad altri reparti anche i colleghi SA., D.NI. e CA., sia perché, tanto dalle dichiarazioni rese dalla parte attrice in sede di
cosiddetta udienza disciplinare quanto dai verbali delle prove orali acquisite agli atti di causa, emerge obiettivamente la problematicità del contesto lavorativo che si era venuta a
creare nel reparto di terapia intensiva, cosicché - anche e soprattutto in ragione dell’estrema delicatezza di tale reparto - la decisione organizzativa assunta dalla Fondazione lungi
che essere mossa da intento discriminatorio o da poter essere intesa quale provvedimento capace di produrre un effetto di tal tipo, appare piuttosto decisione logica ed opportuna per il
proficuo assolvimento della funzione demandata al reparto de quo e ciò, si badi, anche a prescindere dai livelli di responsabilità delle risorse assegnale al reparto stesso nella creazione
delle criticità nei rapporti lavorativi e delle responsabilità per quanto verificatosi in data 14.3.2012.
Non ricorrendo nessuno dei casi previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c. per discostarsi della regola della soccombenza, come per legge, le spese di lite - liquidate come in dispositivo
in ragione del valore e dell’oggetto della domanda, del numero di udienze tenutesi per definire il presente grado di giudizio e dell’attività processuale svolta in tali udienze - seguono
la predetta regola legale, con conseguente condanna della parte ricorrente a rifonderle alla parie resistente.
La presente sentenza è provvisoriamente esecutiva per legge.
Ex art. 429. comma I. secondo periodo, c.p.c., si fissa il termine di nove giorni per il deposito della sentenza.
P.Q.M.
- Respinge il ricorso;
- condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte resistente le spese di lite liquidate nel complessivo importo pari ad Euro 1.500,00, oltre oneri ed accessori dovuti per legge.
Sentenza provvisoriamente esecutiva.
Fissa termine di nove giorni per il deposito della sentenza.
Così deciso in Milano il 25 giugno 2013.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2013.


 

 


1 commento:

  1. Mai e poi mai strumentalizzare gli utenti per i fini della nostra categoria. Prima garantisci il massimo delle cire possibili e poi, SOLO POI, affronti l'organizzazione con tutti i mezzi a tua disposizione, a quel punto puoi sbizzarrirti come credi, perchè chi ti ha messo nelle condizioni di ridurre la qualità dell'assistenza per motivi organizzativi, non merita pietà, mi raccomando, mai usare il paziente per forzare il porre in essere di una buona organizzazione. Ciao

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