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Informazioni utili: Dipendenti, ferie, malattia, periodo di comporto, sostituzione, rifiuto

Cassazione civile , sez. lavoro, sentenza 07.06.2013 n° 14471

Il lavoratore ha la facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, al fine di evitare il licenziamento, e quindi la perdita del posto di lavoro, fonte di reddito per lui e la sua famiglia, dovendosi escludere una incompatibilità assoluta tra ferie e malattia.

Infatti il lavoratore non può essere gravato, oltre che dell'onere di inoltrare una richiesta di fruizione delle ferie, anche di quello di contestare la sussistenza delle esigenze aziendali contrarie, che il datore di lavoro deve dettagliatamente specificare. Tale aggravamento dell'onere probatorio non è in linea con le finalità dell'ordinamento che impongono anche in questo ambito l'applicazione delle clausole generali della correttezza, buona fede e correttezza, imponendo al datore di venire incontro alla richiesta del lavoratore, una volta ponderati i contrapposti interessi. (1)

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO

Sentenza 18 aprile - 7 giugno 2013, n. 14471

(Presidente Vidiri- Relatore Arienzo)

Svolgimento del processo

Con sentenza del 1.6.2009, la Corte di Appello di Venezia accoglieva il gravame della società Poste Italiane ed, in riforma della decisione impugnata, respingeva la domanda proposta da T.F. intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato al predetto con missiva del 4.7.2002 dalla società. Rilevava che, con telegramma del 18.3.2002, il T. aveva chiesto il prolungamento delle ferie arretrate di un'altra settimana per visite mediche e che la società aveva comunicato il rigetto della richiesta, invitando il dipendente ad attivarsi per programmare la fruizione dell'intero periodo di spettanza. Osservava che il lavoratore non aveva contestato in modo specifico e puntuale la sussistenza delle esigenze di servizio enunciate, sostenendo, invece, la tesi secondo cui, qualora il lavoratore assente per malattia avesse maturato il diritto ad un periodo di ferie, la scadenza del periodo di comporto era prorogata sino all'esaurimento dei giorni di ferie maturati e non goduti, tanto più se vi era una espressa richiesta di fruizione delle ferie, e che il datore di lavoro, di fronte ad una richiesta del lavoratore di conversione dell'assenza per malattia in ferie e nell'esercitare il potere di stabilire la collocazione temporale delle ferie armonizzando le esigenze dell'impresa con gli interessi del lavoratore, era tenuto ad una considerazione e ad una vantazione adeguate alla posizione del lavoratore esposto alla perdita del posto di lavoro con la scadenza del comporto. Evidenziava che ciò, tuttavia, non equivaleva ad affermare che il lavoratore avesse un diritto incondizionato a sostituire alla malattia la fruizione delle ferie maturate e non godute e che, di fronte all'invito di Poste a programmare la fruizione dell'intero periodo di ferie di spettanza, il lavoratore avrebbe dovuto chiedere di concordarne una diversa programmazione e che l'onere del datore di specificare le esigenze aziendali sussisteva solo se il lavoratore ne avesse fatto puntuale e specifica contestazione in sede di ricorso introduttivo. In ogni caso, in ordine alla regolarità delle ricevute di accettazione delle raccomandate rilasciate dall'Ufficio Postale, relative a domande inoltrate rispettivamente il 10.9.2001 ed il 18.2.2002, la prima delle quali mancante del timbro di accettazione dell'Ufficio e la seconda del numero identificativo della raccomandata, era stata fornita dalla società la prova finalizzata a vincere la presunzione, solo relativa, dell'arrivo a destinazione, in mancanza di avviso di ricevimento ma in presenza di attestazione della consegna. Ed invero, non poteva esigersi dalla società Poste Italiane una prova ulteriore rispetto alle deposizioni degli addetti alla segreteria e rispetto alla accertata mancanza di trascrizione in apposito registro protocollo delle istanze di aspettativa pervenute, a meno di non insinuarne la soppressione o il boicottaggio.

Per la cassazione di tale decisione ricorre il T., affidando l'impugnazione a due motivi, illustrati nella memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

Resiste la società, con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2109, 2110 e 1375 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., nonché insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c., assumendo che, con telegramma del 18.3.2002, allorché il periodo di comporto non era ancora scaduto, aveva richiesto il prolungamento del periodo di ferie arretrate e che l'azienda aveva risposto negativamente invitando esso istante a programmare la fruizione dell'intero periodo di spettanza. Osserva al riguardo che la sentenza aveva rilevato il prevalere delle esigenze aziendali sulla base della asserita mancata contestazione delle stesse da parte del lavoratore, ma che una corretta interpretazione dell'art. 2019 c.c., in connessione con l'art. 2110 c.c., avrebbe imposto una valutazione conforme a quanto sancito dalla S.C. che, pure negando il meccanismo di automatico prolungamento del comporto per i giorni corrispondenti alle ferie residue, per altro verso aveva ritenuto che su richiesta del lavoratore si produca l'obbligo del datore di prendere in considerazione l'ipotesi di accordare al medesimo le ferie durante un periodo di malattia, con ciò palesandosi l'insufficienza del richiamo alle esigenze aziendali, in contrasto con il principio di buona fede di cui all'art. 1375 c.c. Con quesito domanda se, in presenza di una espressa richiesta del lavoratore, il datore possa legittimamente rifiutare il computo come ferie ancora spettanti di un periodo di malattia ed addurre generiche esigenze aziendali o se debba, anche in attuazione del principio di buona fede e correttezza di cui all'art. 1375 c.c., fornire una giustificazione specifica e circostanziata al diniego di computo. Sostiene che non debba essere il lavoratore a contestare la sussistenza delle esigenze aziendali, osservando di avere precisato in ricorso che la richiesta era stata respinta per esigenze aziendali insussistenti, che non potevano neanche essere conosciute dal lavoratore.

Con il secondo motivo, il T. lamenta insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., rilevando la decisività della questione relativa alla richiesta dell'aspettativa, che avrebbe determinato il mancato scadere del comporto. Sostiene che la sentenza motivi in modo insufficiente in ordine al superamento della presunzione di ricevimento delle raccomandate, in base alla mera affermazione della mancata ricezione, e che non possa rilevare la prova testimoniale espletata al riguardo, visto che la stessa introduce un mero fatto negativo inidoneo a vincere la presunzione, tanto più in presenza di un principio secondo cui l'eventuale malfunzionamento del servizio postale non può pregiudicare colui il quale invii un certo atto tramite il servizio stesso, non potendo sicuramente essere onerato il mittente di attivarsi di fronte al silenzio del destinatario.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

È principio già affermato da questa Corte quello secondo il quale il lavoratore ha la facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, dovendosi escludere una incompatibilità assoluta tra ferie e malattia (cfr. Cass. 3 marzo 2009 n. 5078). È stato osservato che in tali casi non sarebbe, invero, costituzionalmente corretto precludere il diritto alle ferie in ragione delle condizioni psico-fisiche inidonee al loro pieno godimento - non potendo operare, a causa della probabile perdita del posto di lavoro conseguente al superamento del comporto, il criterio della sospensione delle stesse e del loro spostamento al termine della malattia - perché si renderebbe così impossibile la effettiva fruizione delle ferie e che spetti, poi, al datore di lavoro, cui è generalmente riservato il diritto di scelta del tempo delle ferie, dimostrare - ove sia stato investito di tale richiesta - di aver tenuto conto, nell'assumere la relativa decisione, del rilevante e fondamentale interesse del lavoratore ad evitare in tal modo la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza del periodo di comporto (cfr. Cass. 5078/2009 cit. e, nello stesso senso, Cass. 9 aprile 2003 n. 5521). È stato evidenziato, altresì, che un tale obbligo del datore non è configurabile solo allorquando il lavoratore possa usufruire di altre regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto, e in particolare del collocamento in aspettativa, ancorché non retribuita (cfr,, sul punto, Cass. 8 novembre 2000 n. 14490).

Nella specie deve ritenersi che la Corte del merito non abbia fatto corretta applicazione del menzionato principio, laddove, pur richiamando il potere, conferito dalla legge (art. 2109 secondo comma c.c.) al datore di lavoro, di stabilire la collocazione temporale delle ferie nell'ambito annuale, armonizzando le esigenze dell'impresa con gli interessi del lavoratore e pur negando la sussistenza di un incondizionato diritto di quest'ultimo alla sostituzione alla malattia delle ferie maturate e non godute, ha ritenuto, nel negare il diritto, che il lavoratore fosse gravato, oltre che dell'onere di inoltrare una richiesta di fruizione, anche di quello di contestare la sussistenza delle esigenze aziendali, e che solo in tale ipotesi il datore sarebbe stato tenuto ad una dettagliata specificazione delle esigenze aziendali. Tale aggravamento dell'onere probatorio non è in linea con le finalità evidenziate dalla giurisprudenza di legittimità richiamata, che valorizza anche in tale ambito gli "obblighi di buona fede e correttezza" cui sono tenute le parti, obblighi che trovano la relativa formulazione positiva nell'art. 1175 c.c., a tenore del quale "il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza" ed un ulteriore supporto nel successivo art. 1375 c.c., ove si sancisce che "il contratto deve essere eseguito secondo buona fede". Nel caso concreto, il Giudice d'appello, pur dando atto correttamente che non esisteva nessuna norma che imponesse l'accoglimento delle ferie - rimesse ad una valutazione discrezionale del datore di lavoro chiamato a bilanciare esigenze contrapposte -, non ha, tuttavia, considerato che, al fine di evitare il licenziamento, e quindi la perdita del posto di lavoro, fonte di reddito per il T. e la sua famiglia, l'ordinamento, in ossequio alle clausole generali della correttezza di buona, fede e correttezza, avrebbe imposto alla società di venire incontro alla richiesta del lavoratore, una volta ponderati i contrapposti interessi. Sotto quest'ultimo profilo, la Corte d'appello non ha proceduto in modo congruo a valutare se il comportamento della società fosse stato improntato all'applicazione del criterio del bilanciamento, ritenendo, in modo assorbente, che la necessità di esplicitazione delle esigenze aziendali ostative alla fruizione delle ferie residue fosse conseguenza unicamente di una specifica contestazione del lavoratore, nella specie non avanzata dall'interessato.

All'accoglimento del primo motivo di ricorso, che determina l'assorbimento delle ulteriori questioni prospettate con l'altro motivo di impugnazione, consegue la cassazione della decisione impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte di Appello designata in dispositivo, che dovrà procedere a nuovo esame secondo i principi giurisprudenziale enunciati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Trieste.

Fonte: altalex.com

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